Se mi lasci non vale - attorno a Yoga di Emmanuel Carrère
«per aver detto “sì” in passato, non potrò più dire “no”? Non avrò il diritto alla separazione e sarò, fino alla morte, un oggetto di scrittura fantasticato dal mio ex marito?».
Partiamo da qui, da questa frase che Hélène Devynck, ex moglie di Emmanuel Carrère, ha pronunciato all’interno della querelle scatenata da Yoga. La riportiamo non perché ci interessi il gossip, ma perché offre un’interessante chiave di lettura dell’opera di Carrère. Una moglie che al momento del divorzio firma un contratto per non apparire più nei libri del marito se non con il proprio consenso, è cosa quantomeno singolare. Di solito i divorzi si giocano sulla spartizione del matrimonio e l’affidamento dei figli, aspetti che sicuramente avranno toccato anche Devynck e Carrère, ma la presenza di questa clausola particolare, ci dà la misura del potere delle parole e del rapporto problematico tra racconto e vita che percorre tutte le opere di Carrère.
In Yoga, Carrère parla della gravissima depressione che lo ha costretto a un ricovero di quattro mesi in ospedale psichiatrico. Cosa abbia interrotto quel benessere che lo aveva accompagnato per dieci anni, Carrère non lo specifica nel dettaglio, omettendo dal racconto una delle cause principali: la separazione dalla moglie Hélène. A quanto pare, sarebbe stato costretto a omettere questo aspetto fondamentale perché l’ex moglie avrebbe chiesto di non essere coinvolta nel nuovo libro. Come c’era da aspettarsi, le versioni dei due divergono: ciò che è certo è che Devynck ha poi accusato Carrère di non essere sincero, di essersi inventato vari elementi e di aver quindi scritto una falsa autobiografia che ha l’obiettivo di esaltare la sua immagine di autore e non la verità dei fatti.
Questa vicenda di cronaca diventa interessante se vista nell’ottica di un dibattito più ampio sui limiti della creazione romanzesca.
DI COSA PARLA YOGA?
Parla di yoga, ovviamente. Di meditazione e di Tai Chi. In origine, almeno a quanto ci dice Carrère, doveva essere un libricino dedicato solo a queste discipline che lui pratica da decenni. Poi è diventato anche un libro sulla depressione e l’ospedale psichiatrico, sugli immigrati sbarcati sull’isola greca di Leros, sulla scrittura, sull’amore e il senso del vivere. Yoga è il racconto di alcuni anni di vita del suo autore, di alcune sue esperienze e pensieri, ma anche un bilancio della sua attività di scrittore. È un romanzo che torna sui precedenti e li raccoglie in una riflessione organica. Ci sarà probabilmente nella produzione di Carrère un prima e dopo Yoga.
Ma facciamo un passo indietro. Carrère scrive di se stesso. A volte lo ha fatto usando un suo doppio, un personaggio che è effettivamente il protagonista del libro, ma che è un continuo specchio e pretesto per parlare di sé. Così ha fatto con il pluriomicida Jean-Claude Romand ne L’avversario, con lo scrittore e politico russo Eduard Limonov in Limonov e, per ultimo, con San Paolo ne Il Regno. Altre volte invece scrive di se stesso e basta, ed è forse questo il filone che gli riesce meglio. L’autobiografia però pone il problema della verità e della riservatezza, soprattutto se le informazioni riguardano gli altri. Come in “Un romanzo russo”, dove Carrère si mette a nudo, raccontando anche dettagli strettamente riservati della sua relazione dell’epoca, compresa un’interruzione di gravidanza. D’altronde cosa possiamo aspettarci da un autore che invece di dedicare privatamente un racconto erotico alla propria compagna lo pubblica su Le Monde e le dice di comprare il giornale?
La miglior metafora per spiegare il dilemma etico la trova lo stesso Carrère. Circa a metà di Yoga ricorda di aver raccontato la storia del generale Massu, durante un intervista rilasciata al giornalista del New York Times Wyatt Mason.
Il generale Massu era un ufficiale che durante la guerra d’Algeria ha torturato i prigionieri con scosse elettriche. Quando ha dovuto rispondere dei suoi comportamenti a processo, ha dichiarato che quel tipo di tortura non era poi una tragedia, dato che l’aveva provata anche su di sé. La differenza è chiaramente che chi applica degli elettrodi su di sé si ferma quando vuole, cosa che invece non può fare chi è torturato.
Carrère usa questo aneddoto per spiegare a Mason chi, come lui, scrive testi autobiografici deve pensare bene a come trattare le storie degli altri più che le proprie. E che il suo non è coraggio, “o se è coraggio è il coraggio del generale Massu quando si applica gli elettrodi da solo”.
Il Carrère che fa questo ragionamento, che mette in discussione la sua posizione morale, che parla della letteratura come “il luogo in cui non si mente”, è lo stesso Carrère che poi ammette più avanti nel libro di aver alterato alcune vicende e di averne inventate altre. Possiamo allora fidarci della sua parola? Assolutamente no. In quanto lettori saremo sempre in una posizione di inferiorità, non sapremo mai se ciò che ci racconta Carrère su di sé è vero o falso, se le sue intenzioni sono quelle che dichiara.
Si può parlare di una sorta di etica, di un rispetto, dell’autore verso i propri lettori e delle altre persone nominate nella storia?
Vale la pena di scomporre la domanda. Si può certamente parlare del problema morale che comporta alterare il racconto quando il racconto riguarda anche altre persone. E questa è la parte di cui Carrère deve rispondere a Devynck e al loro contratto.
Ma ancora più interessante è chiedersi se i lettori possono aspettarsi solo la verità da un autore che dichiara di non mentire, se il disattendere i propri intenti sia una sorta di imbroglio. Per tentare di rispondere bisogna tenere conto di quello che forse è l’elemento più importante: lo sdoppiamento tra il Carrère autore e il Carrère personaggio. Dove sta il limite fra i due? Dal momento che Carrère entra nella storia è anch’egli un personaggio, non può fare a meno di far parte di quel patto narrativo che il lettore deve sottoscrivere ogni volta che si trova di fronte a una nuova storia. Il lettore deve credergli per forza per poter procedere nella lettura, ma a quale dei due Carrère si sta affidando? E soprattutto, ha senso chiederselo dato che i due sono indistinguibili?
Yoga è un romanzo meraviglioso, dove la riflessione sulla letteratura si incrocia continuamente con quella sulla vita e sullo stare al mondo. Carrère si conferma maestro di quell’autofiction narrativa che lo ha consacrato, in cui la sua vicenda personale diventa esperienza universale. E in cui poco importa cosa sia vero e cosa no.
Per approfondire:
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Cos’è successo tra Carrère è Hélène Devynck (qui l’articolo del Post)
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La vicenda Yoga e il Goncourt (qui l’articolo di lapresse)