La valle oscura | Anna Wiener
‘Uncanny’ è il termine che si usa in inglese per tradurre il tedesco ‘unheimlich’, che per Freud era ‘Das Unheimliche’ ovvero, ciò che noi in italiano traduciamo comunemente con il perturbante. Indica un particolare tipo di paura che si sviluppa quando qualcosa viene avvertita contemporaneamente come familiare ed estranea, causando nel angoscia e confusione nel soggetto.
Nel 1919, Freud ci ha dedicato un saggio per spiegarne il rapporto con l’inconscio, ma non ci dilungheremo oltre. Passiamo invece agli anni ’70, quando il professore giapponese di robotica Masahiro Mori identifica il concetto di ‘uncanny valley’. Nella sua ricerca, Mori ha analizzato come la sensazione di familiarità sperimentata dalle persone e generata robot e automi antropomorfi possa aumentare al crescere della loro somiglianza con la figura umana, fino ad un punto in cui l’estremo realismo rappresentativo produce però un brusco calo delle reazioni emotive positive, destando sensazioni spiacevoli paragonabili al perturbamento.
Ad essere precisi, bisogna sottolineare che, il nome giapponese del fenomeno non aveva nulla a che fare con Freud, ma dal momento in cui è stato trasposto in inglese come ‘uncanny’ si è creata una relazione non intenzionale, ma curiosa con la psicanalisi. I misteri della traduzione!
Questa introduzione era indispensabile per capire quanto sia stratificato il titolo del libro di cui stiamo per parlare che in originale si chiama proprio The Uncanny Valley, riferendosi da una parte la Silicon Valley e dall’altro il rapporto conflittuale tra umani e macchine.
Anna Wiener è una venticinquenne newyorkese che sogna di lavorare nell’editoria indipendente. Si è laureata in materie umanistiche e lavora in un’agenzia letteraria. Vive a North Brooklyn ed è decisamente hipster: usa una vecchia macchina fotografica medio formato, ascolta i vinili e si rifiuta di comprare un microonde. Nella sua vita l’industria tecnologica non ha nessun peso. Anzi, è solo preoccupata – come tutti nel suo settore – che i grandi colossi dell’e-commerce (Amazon) distruggano il mondo dei libri e delle librerie a cui lei è legata.
Il lavoro in editoria però frutta uno stipendio bassissimo e presto Wiener si rende conto di essere al verde. Trovandosi in un vicolo cieco, decide di tentare l’approccio più smart al mondo della letteratura e viene assunta in una startup che sta sviluppando una piattaforma di e-reading. Qui ha il primo approccio con giovani ingegneri informatici che parlano un linguaggio tutto loro e che, più che alla lettura, sono interessati a sviluppare un prodotto che li lanci sul mercato e li faccia guadagnare parecchi soldi. Questa esperienza dura pochi mesi, quando l’amministratore delegato la liquida con un “è troppo interessata a imparare e non a fare”, Wiener è costretta a cercarsi un altro lavoro. Dato che non vuole tornare nell’editoria e l’industria tecnologica inizia ad affascinarla, parte alla volta di San Francisco. Ed eccola nella valle perturbante, dove ogni cosa è estranea. Da qui parte il resoconto dei cinque anni passati a lavorare nella Silicon Valley, prima in una startup di analisi dati e poi in una open source.
“La valle oscura” non è un racconto di denuncia, ma una narrazione intima, piena di dettagli e stati d’animo che oscillano tra l’inadeguatezza e l’euforia.
Mi fermai sulla soglia e contai le donne. Ce n’erano tre. Portavano jeans e scarpe da ginnastica, cardigan enormi sopra una maglietta. Io mi ero vestita con cura: tubino blu, stivaletti col tacco, blazer leggero. Era quello che mi mettevo sempre per i colloqui di lavoro, pensavo comunicasse professionalità e serietà. Nell’editoria lo si sarebbe considerato un abbigliamento appropriato, ma ancora abbastanza dimesso da non risultare minaccioso. Nella startup mi faceva sentire un agente della narcotici. Mi liberai del blazer il più discretamente possibile e lo ficcai nella borsa di tela.
- La valle oscura
LA TRAMA
Il memoir di Wiener è estremamente corporeo. Ogni dettaglio e variazione di stile di vita, non viene vissuto solo a livello concettuale, ma ha sempre delle conseguenze fisiche: i chili di frutta secca consumati per avere energia si trasformano in chili in più, i piedi ballano al ritmo della musica EDM per darsi la carica sotto la scrivania.
Grande attenzione è posta sull’abbigliamento, il modo di muoversi e di parlare, le abitudini alimentari che ogni volta sottolineano la differenza tra l’autrice e i suoi colleghi.
Incontriamo tanti degli elementi che caratterizzano la fauna della Silicon Valley e ognuno ne costituisce un tassello coerente con il quadro generale. C’è la startup di analisi dati che non vuole ammettere di spiare gli utenti, un amministratore delegato troppo immaturo e arrogante, il programmatore che lavora da mezzogiorno in poi e passa la notte su un simulatore di guida di camion, un attivista dei diritti digitali che ama la musica sinfonica.
C’è anche la parabola di una città, San Francisco, che si è trasformata da capitale del Pride a un “posto strano per giovani e ricchi futuristi”, divisa fra l’emergenza dei senzatetto e la crescita esponenziale dei prezzi degli affitti.
In tutto il resoconto aleggia lo spettro della misoginia nell’industria del tech. Le donne impiegate sono pochissime e spesso lo sono in ruoli non tecnici. La teoria imposta dagli ingegneri secondo cui le donne sarebbero meno portate a programmare è ancora accettata da molti. E’ parte della cultura tossica dell’ambiente l’accettare come goliardia che i colleghi uomini stilino classifiche delle colleghe donne senza nessuna riservatezza, per citare l’episodio meno grave, e quando Wiener pensa a denunciare questa pratica, la madre da New York le consiglia di “non mettere per iscritto nessuna accusa di sessismo, a meno che tu non abbia già pronto un avvocato”.
Wiener rimane sempre in bilico tra l’essere un’aliena in un mondo di dati e ingegneri, e l’entusiasmo per il futuro che la Silicon Valley le infonde. Le sembra di essere al centro del mondo, nell’industria che produce i nuovi milionari e che sarà responsabile del futuro della democrazia. Non è difficile essere sedotti quando ti sembra di guadagnare un posto nella stanza del potere. E’ tutto un misto di senso di colpa e fascinazione.
Non c’è un messaggio nascosto in questo libro, se non che quando si hanno questa ironia e capacità di osservazione si riesce a raccontare in modo coinvolgente anche il funzionamento del capitale di rischio. C’è però un monito: quello che a distanza sembra geniale e scintillante, visto da dentro può diventare incredibilmente complesso e perturbante.
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Il consiglio non richiesto
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Per indagare il rapporto umani/macchine non potete perdervi Essere una macchina di Mark O’Connell (Adelphi). Un viaggio straordinario e allucinante tra criogenesi, transumanisti, biohacker e tutte le altre derive (fanta)scientifiche della tecnologia.
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Nella rubrica Money Diaries del sito Refinery29, viene analizzato come spende i propri guadagni una venticinquenne ingegnere del tech a Mountain View
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Anne Helen Petersen ha scritto un libro importante che approfondisce il rapporto tra Millennials e lavoro “Can’t Even: How Millennials Became the Burnout Generation.”
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Sul sessismo nella Silicon Valley, consigliamo di dare un’occhiata a questo studio
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Techies è un progetto fotografico sulla diversity nell’industria tech
- Su questo libro è uscito un bell’articolo sul Post (qui)
Tutte ci sentivamo dire, prima o poi, che le iniziative a favore della diversità erano discriminatorie nei confronti degli uomini bianchi; che c’erano più uomini nella programmazione perché gli uomini erano dotati per natura.
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