“Mor” ti incanta, ti assorbe, ti mastica e poi ti schianta. Nel mentre ti conquista, ti accarezza, ti mette alla prova, ti commuove, ti fa pensare e arrabbiare.

“Mor” è la storia di Sara, di sua madre, di sua nonna, della sua bisnonna e, di riflesso, di gran parte della sua famiglia.
È una storia che comincia nella Svezia degli anni Sessanta e ci porta fino alla provincia di Bologna, quasi sessant’anni dopo.

“Mor” racconta le vite che ci precedono, quelle da cui discendiamo e che non ci siamo scelte. Racconta come la privazione di affetto e la violenza psicologica creino traumi che attraversano le generazioni e diventando depressione, dipendenze, ossessioni, manie.

I disegni arrivano dove non arrivano le parole. Si fanno di volta in volta analitici, delicati, evocativi, simbolici, esplicativi, onirici. Le immagini si aggrappano al testo per poi fiorire di nuovi significati.

La ricerca di una forma che possa esprimere il dolore diventa allora la chiave per disinnescare il meccanismo che genera il “magone”, quel buco nella pancia che si nutre di traumi e paure. La letteratura e l’arte si fanno quindi armi per riconoscere, comprendere e rielaborare il proprio vissuto, che poi è l’unico modo per riuscire a conviverci.

“Mor” è un viaggio da cui non si torna indenni. Quando si volta l’ultima pagina, si rimane con un gruppo in gola, un senso di profondo amore e il desiderio di guardare nelle pieghe delle cose, perché è lì che convivono il buio e la luce.